23 Dicembre 2021 – Babboleo

23 Dicembre 2021

Ictus, Del Sette (ALICe Liguria): “Fondamentale prevenire e sensibilizzare. La campagna P.R.E.S.T.O. ha ridotto i tempi di arrivo in ospedale”

Massimo Del Sette è il direttore di Neurologia del Policlinico San Martino di Genova. Da anni dirige anche il Comitato Scientifico di A.L.I.CE. Liguria, associazione nata nel 2000 e unica in Italia a essere formata da persone colpite da ictus, dai loro familiari e caregiver, da neurologi e medici esperti nella diagnosi e trattamento dell’ictus, medici di famiglia, fisiatri, infermieri, terapisti della riabilitazione, personale socio-sanitario e volontari. La mission di Alice è quella di diffondere le conoscenze necessarie per la prevenzione della malattia e di informare sulla sua diagnosi, cura e riabilitazione.

“A.L.I.CE. è l’acronimo di Associazione Lotta all’Ictus Cerebrale, e vuole migliorare l’assistenza ai pazienti colpiti da ictus ma anche prevenire questa malattia che ha una fama molto negativa” spiega il professor Del Sette. “La parola ‘ictus’, che significa ‘colpo’, sembra qualcosa di ineluttabile. In realtà, molto si può fare per Liguria, e A.L.I.C.E. si batte per questo da oltre vent’anni”.

La Liguria è un osservatorio speciale, viste l’età avanzata della popolazione e la natura dell’ictus, che colpisce per lo più sopra i 65 anni. “Mediamente abbiamo 3.600 ictus all’anno nella nostra regione, di cui l’80% ictus ischemici: un vaso arterioso che si occlude, non portando più sangue al cervello e determinando il danno cerebrale che si traduce nella disabilità. La buona notizia è che le terapie sono straordinariamente migliorate negli ultimi anni. Lo sforzo è quello di far sì che il maggior numero di persone possa avere accesso a queste terapie che fanno la differenza”.

Quest’anno l’associazione ha rilanciato P.R.E.S.T.O., seconda edizione di un progetto nato a Genova e in Liguria nel 2019. A.L.I.CE. raccoglie i dati dei casi di ictus registrati nella nostra regione, i tempi e le modalità di accesso negli ospedali. Per 8 mesi poi viene portata avanti una campagna di informazione e sensibilizzazione sulla cittadinanza per far conoscere i sintomi dell’ictus ed essere in grado, una volta riconosciuti in una persona, di chiamare immediatamente il 112.

“Con la prima edizione di P.R.E.S.T.O. – finanziata da Fondazione Carige – abbiamo ottenuto una riduzione dei tempi di arrivo nei pronto soccorso di trenta minuti. Un dato estremamente rilevante e un guadagno enorme, perché la terapia è tanto più efficace quanto precocemente viene somministrata. Oggi, su 100 ictus ischemici che arrivano nei pronto soccorso italiani, solo 20/25 accedono a queste terapie, perché arrivano troppo tardi. Ecco perché la campagna si chiama P.R.E.S.T.O.”

Al termine della campagna si capirà se c’è stato un miglioramento nei tempi e nelle modalità di accesso agli ospedali e se si sono potuti scoprire agli inizi ictus che altrimenti avrebbero potuto avere conseguenze gravi.

La sensibilizzazione gioca quindi un ruolo chiave per prevenire morti e invalidità causate dall’ictus. “E’ fondamentale sensibilizzare anche i più giovani” prosegue Del Sette. “Progetti di sensibilizzazione effettuati nelle scuole, in Nord America e in Nord Europa, hanno portato a un arrivo precoce di genitori e nonni in ospedale. I ragazzi, ben informati sui sintomi, portano i loro cari all’attenzione precoce dei medici. C’è anche da dire, purtroppo, che negli ultimi anni ci stiamo accorgendo di un aumento di frequenza dell’ictus giovanile, che colpisce gli under 50. I motivi sono di diverso tipo, nella nostra nazione probabilmente sono legate a fumo, all’uso di sostanze stupefacenti e all’alcol, ormai vera piaga dell’età giovanile”.

Ma quali sono i campanelli d’allarme? Come riconoscerli? “L’ictus, contrariamente all’infarto, non dà dolore. Questo, paradossalmente, preoccupa meno. Ci sono tre sintomi principali che bisogna conoscere bene: perdere improvvisamente forza a un braccio o a una gamba, avere difficoltà a parlare, avere la bocca storta. Basta uno di questi sintomi per trovarsi, al 75% di probabilità, di fronte a un ictus. Serve chiamare subito il 112”.

Grande importanza ha anche la prevenzione, purtroppo venuta meno con l’avvento della pandemia e la conversione di reparti, risorse e energie nella lotta al covid. “L’ictus, e questo è un messaggio ottimistico, si può prevenire, e in Liguria le cose sono molto migliorate negli ultimi anni. Ma purtroppo in questi mesi si sono fatte meno visite di controllo, e prevediamo un aumento della frequenza di questa patologia nei prossimi anni”.

E poi c’è la riabilitazione, nel momento in cui si rimane vittime di un ictus. “Il 50% dei pazienti conserva una più o meno grave disabilità” conclude Del Sette. “La riabilitazione va iniziata subito, già il giorno dopo l’ictus. Su questo elemento c’è ancora molto da lavorare: bisogna offrire una riabilitazione corretta e nei tempi corretti, che non si limiti al periodo del ricovero ospedaliero ma prosegua ‘sul territorio’, per consentire al paziente di tornare a una vita piena e normale”.

Ascolta l’intervista integrale al professor Del Sette:

Regione Liguria, bocciato l’emendamento per il taglio delle liste d’attesa dei bambini disabili

Sono circa 1200 i bambini disabili in attesa delle prestazioni riabilitative solo a Genova, che dovranno ancora attendere prima di essere presi in carico dal servizio sociosanitario pubblico o privato accreditato.
Il consiglio regionale infatti ha bocciato l’emendamento collegato alla legge di stabilità presentato dalle opposizioni che chiedeva uno scostamento di bilancio di 5 milioni di euro, corrispettivo spettante al CO.R.E.H. – coordinamento regionale enti riabilitazione handicap –, secondo quanto stabilito dal Tar sulla regressione sanitaria, a cui si è detto disposto a rinunciare se utilizzato per aumentare le prestazioni a favore dei bambini disabili.

La Presidenza Toti aveva dato una botta d’arresto alle terapie dei bambini, sino ad arrivare ad averne in lista 1200. Nessuno ha preso nota che i 5 milioni vinti dal Corerh in consiglio di Stato erano disponibili e l’ente erogatore dei servizi diceva che li avrebbe dati volentieri alla causa dei bambini. Con 5 milioni in più sarebbero arrivati a oltre 600 bambini solo per Genova”, – racconta Marco Macrì, coordinatore delle famiglie scese in piazza per le terapie bloccate.

“L’accordo transattivo è ancora in corso – spiega Toti – alla fine potremmo arrivare a qualcosa di molto simile, ma non possiamo impegnare le risorse prima della conclusione della trattativa. Nel frattempo, con il piano ‘Restart’ per il 2021 abbiamo già stanziato 3,7 milioni per accorciare le liste d’attesa e il privato accreditato non è in grado di erogare prestazioni per cifre maggiori, nel tempo richiesto. Siccome i 35 milioni del piano ‘Restart’ per il 2022 non sono ancora stati ripartiti, se gli enti accreditati potranno garantire più prestazioni, non avremo problemi a garantire maggiori risorse”. In parallelo, Toti ricorda che è in corso anche un piano di assunzioni da parte di Asl 3 per aumentare anche le prestazioni pubbliche e che riguarda una quarantina di professionalità varie.

Il consigliere del Pd, Pippo Rossetti, primo firmatario dell’emendamento, denuncia che “siamo di fronte alla sospensione dei Lea. Con i cinque milioni del Corerh, oltre alle risorse già stanziate dalla giunta, si potrebbero quasi azzerare le liste d’attesa. Per il capogruppo del M5s, Fabio Tosi, “la disponibilità del Corerh sarebbe un’occasione da prendere al volo”. Il consigliere di Linea condivisa, Gianni Pastorino, riconosce che “il problema non è nato ora ed è sicuramente stato aggravato dal covid, ma sarebbe un grande merito di questo consiglio regionale, se si riuscisse a dare un’accelerata perché è urgente trovare una soluzione”. Approvato, invece, all’unanimità, un emendamento del Partito democratico, con primo firmatario Roberto Arboscello, che impegna 50.000 euro per progetti di accoglienza e accompagnamento al mare dei disabili.

Ai microfoni di Radio Babboleo Marco Macrì, coordinatore delle famiglie scese in piazza per le terapie bloccate ai 1200 bimbi disabili della Liguria:

Come scoprire la fauna ligure con il questionario Unige

Memorabili le immagini che ci giungevano durante il lockdown di una popolazione animale che, nella nostra regione così come in tutto il mondo, si riappropriava dei propri spazi e andava a scoprirne di nuovi: delfini nel porto di Genova, cinghiali in pieno centro e lupi che tornano a popolare l’entroterra.
Oggi, anche se le persone sono tornate a riempire le vie e le piazze, gli animali tornano spesso a fare visita nei centri cittadini.

Da anni ricercatori e ricercatrici di vari dipartimenti dell’Università di Genova studiano i cambiamenti nel territorio e nel paesaggio della Liguria, soprattutto per quello che riguarda l’entroterra, ma anche la costa e le aree urbane, che sono due contesti molto diversi anche per i processi paesaggistici in atto.

L’entroterra ha vissuto già dai primi del ‘900 processi di spopolamento, ai quali hanno fatto seguito fenomeni di inselvatichimento spontaneo, cioè di crescita del bosco e ritorno di specie animali un tempo scomparse – basti pensare ai lupi. Aumentano le aree boscate laddove prima esistevano pratiche agro silvo pastorali, quindi agricoltura, gestione del bosco e pastorizia. Oggi la Liguria è la regione più densamente boscata d’Italia, con circa il 75-80% coperto da boschi. In pochi decenni il panorama paesaggistico è profondamente cambiato, basti guardare vecchie foto.

Lungo la costa e i fondovalle si sono verificati fenomeni di urbanizzazione, ma negli ultimi anni noi genovesi dobbiamo fare i conti quasi quotidianamente con dei nuovi cittadini: specie animali più o meno ingombranti e invadenti con cui condividiamo la nostra quotidianità.

Il questionario vuole proprio investigare il rapporto che i genovesi hanno con questi elementi di natura cittadina” – racconta Pietro Piana, docente di geografia politica dell’Università di Genova – “e si concentra in particolare sulla fauna urbana e sugli spazi naturali in città, in particolare i letti dei corsi d’acqua, come il Polcevera e il Bisagno, che sono dei veri e propri corridoi che la fauna utilizza per spostarsi”.

Questo progetto si inserisce in un più ampio filone di ricerca, portato avanti da anni dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova e della School of Geography dell’Università di Nottingham nel Regno Unito, con cui la nostra Università collabora da tempo.
L’idea è nata dalla convinzione che l’opinione dei cittadini su questi temi sia fondamentale anche a supporto di attività di gestione e pianificazione di un fenomeno ormai evidente e urgente. A seconda dei quartieri di appartenenza andremo a vedere se e come cambia la percezione della natura urbana nelle varie aree della città”.

Genova è una città molto eterogenea morfologicamente, con un susseguirsi di aree naturali o semi-naturali molto vicine al centro città: basti pensare all’area dei forti. “È interessante capire che idea si sono fatti i genovesi, anche in relazione alle possibili soluzioni, che non sono per nulla semplici. Il questionario vuole essere un’analisi della percezione di questo fenomeno”.

Lo studio, rivolto ai residenti nel Comune di Genova, mira ad analizzare la conoscenza e la percezione che i genovesi hanno della natura che li circonda e in particolar modo degli animali selvatici e dei nuovi spazi di rinaturalizzazione, come i torrenti in ambito urbano.

Qui il link per partecipare al questionario
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScvssB4fIwI7s8GhnHsLraP6OHOSxVWIn9SB9ckVw4WzQVa1g/viewform

Ai microfoni di Radio Babboleo Pietro Piana, docente di geografia politica dell’Università di Genova