Pierluigi Montaldo, 50 anni, originario di Ronco Scrivia, è un ristoratore fantasma.
Lunedì 1 febbraio – primo giorno in cui la Liguria è tornata in zona gialla – Pierluigi è sceso in piazza De Ferrari, a Genova, insieme a oltre un centinaio di ristoratori liguri per manifestare e denunciare la situazione in cui versa attualmente il settore della ristorazione: inadeguatezza e insufficienza dei ristori per affitti, utenze, Inail, Inps, tasse, tributi, costo del personale, commercialisti, consulenti del lavoro. Inoltre denunciano i ritardi nei pagamenti della cassa integrazione per i dipendenti e l‘assenza di sussidi famigliari ove l’attività di ristorazione rappresenti l’unica forma di sostentamento. E ancora: non condividono la chiusura serale delle attività di ristorazione quando è concessa l’apertura a pranzo. Infine ritengono “altresì iniquo il computo dell’imposta TARI che non tiene conto dei periodi di chiusura“.
Tuttavia Pierluigi per quanto abbia vissuto e viva disagi di questo genere, ha una storia diversa da tutte le altre.
“Rientro nella categoria dei ristoratori fantasma“ così si presenta e così definisce la sua situazione tanto anomala quanto “a norma di legge“, legata al trasferimento di sede del suo locale: da “Trattoria Balostro” di Isola del Cantone a “Trattoria da u Pier” di Ronco Scrivia.
Pierluigi si ritrova così, con grande meraviglia e rabbia, a scoprire di non aver diritto ad alcun tipo di ristoro perché formalmente, sulla carta, non risulta essere attivo durante i mesi della primavera 2019, quelli di riferimento per il conteggio e l’assegnazione dei ristori.
Dopo anni e anni di lavoro in qualità di ristoratore viene trattato come se non avesse mai lavorato.
“Questa è stata la prima grande fregatura ricevuta. Ma non è tutto qui. C’è dell’altro” racconta Pierluigi, con la mascherina chirurgica fin sotto gli occhi, lucidi più per l’emozione che per l’aria fredda che sferzava in piazza De Ferrari.
Una volta appreso di non avere diritto ai ristori, si è recato dal proprio commercialista per consigliarsi, confidarsi e sfogarsi. E lì, nello studio del professionista, è nata un’idea o forse semplicemente una soluzione per andare avanti.
Il locale di Pierluigi cambia: modificato il codice ATECO, passa da “ristorazione con somministrazione” ad “uso mensa“. Più precisamente “anche ad uso mensa“, come tiene a sottolineare Pierluigi. I primi ad usufruire del servizio mensa sono stati 8 operai di una ditta lombarda.
Pierluigi ha tenuto così aperto per loro, esclusivamente per loro, perché diversamente avrebbe dovuto chiudere. Nel frattempo il rapporto con i suoi clienti fedeli l’ha mantenuto tramite il servizio di asporto.
“Tuttavia non è stato semplicissimo organizzare l’asporto. Molti piatti non si prestano per essere impacchettati nella carta o plastica ed essere destinati, diversi minuti dopo, sulle tavole dei clienti. In più la maggior parte delle persone, trascorrendo più tempo in casa, si è dilettata ai fornelli, preferendo così cucinare da sé”
Una volta che la “Trattoria da u Pier” ha cominciato ad essere anche una mensa, Pierluigi ha dovuto guardare in faccia i suoi 4 dipendenti e scegliere chi di loro lasciare a casa, perché impossibile riuscire a mantenere tutti. Questo, secondo lui, il momento più difficile.
“Ho dovuto fare una selezione. Ho scelto di non rinnovare il contratto a chi ne aveva meno bisogno, anche se lavorava bene“
La “Trattoria da u Pier” propone piatti tipici della tradizione ligure, sia di carne sia di pesce. Lunedì 1 febbraio, con la Liguria di nuovo in zona gialla, i ristoranti hanno potuto riaprire a pranzo, fino alle 18. Poi chiudono e possono continuare con l’asporto.
“Lunedì a pranzo abbiamo fatto sedere 4 persone – non mi vergogno a dirlo. A chi li servo i miei piatti? Tra l’altro gli alimenti hanno un costo. I fornitori hanno un costo. Se la maggior parte del cibo rimane invenduto, poi bisogna gettarlo nei rifiuti. E di questi tempi è un vero peccato”
Dalle parole di Pierluigi emerge il vero motivo della protesta in piazza: l’impossibilità di programmazione, di qualsiasi tipo, che impedisce in primis una corretta gestione degli arrivi degli alimenti freschi da parte dei fornitori, e di conseguenza il rischio sempre più frequente di gettare nei rifiuti quantità di cibi costosi, deterioratisi perché rimasti invenduti.